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Kahlil
Gibran
Gibran, Kahlil Gibran (Bsarri 1883 -
New York 1931), poeta e pittore libanese di raffinata educazione cosmopolita,
vissuto fra il Medio Oriente e gli Stati Uniti. Nei suoi versi dal
caratteristico stile sapienziale, "Il profeta" (1923) e "Sabbia e
onda" (1926), si sono riconosciute generazioni di lettori in ogni parte del
mondo. Animatore di un circolo intellettuale che intendeva rinnovare l'arte
poetica della letteratura araba, Gibran - che fu autore anche di romanzi critici
verso le comuni norme sociali, come "Spiriti ribelli" (1908) - scrisse
a volte in inglese, traducendosi poi in arabo, oppure direttamente in arabo,
come nel caso della raccolta "Ali spezzate" (1911).

MORTA E' LA
MIA GENTE
Scomparsa è la
mia gente, ma io ancora esisto, e la piango nella mia solitudine...
Morti sono i miei amici, e nella loro morte la mia vita non è altro che una
grande sciagura.
I colli del mio paese sono sommersi di lacrime e di sangue, perché la mia gente
e i miei cari sono scomparsi, ed io sono qui, ancora vivo come quando la mia
gente ed i miei cari godevano della vita è della sua generosità, e le colline
del mio Paese erano sommerse e benedette dalla luce del Sole.
La mia gente è morta d'inedia, e chi non venne ucciso dalla fame fu massacrato
dalla spada; ed io sono qui, in questa terra lontana, a vagare tra gente gioiosa
che dorme su soffici letti e sorride ai giorni mentre i giorni gli arridono.
La mia gente ha patito una morte di dolore e di vergogna, e io sono qui a vivere
nell'abbondanza e nella pace... E questa una grande tragedia che ha sempre luogo
sul palcoscenico del mio cuore; a pochi preme assistere a questo dramma, perché
la mia gente è simile agli uccelli dalle ali spezzate, lasciati indietro dallo
stormo.
Se fossi affamato e vivessi tra la mia gente affamata, e se fossi perseguitato
tra i miei oppressi compatrioti, più lieve sarebbe il peso dei giorni bui sui
miei sogni agitati, e l'oscurità della notte sarebbe più fonda dinanzi ai miei
occhi incavati, al mio cuore piangente e alla mia anima ferita. Perché colui
che condivide con la sua gente il dolore e il tormento riceverà il supremo
conforto che solo può dare il sacrificio della sofferenza. E si sentirà in
pace con se stesso, quando morirà innocente coi suoi compagni innocenti.
Ma io non vivo con la mia gente affamata e perseguitata, che incede nella
processione della morte verso il martirio... Sono qui, al di là del vasto mare,
a vivere all'ombra della serenità e alla luce gioiosa della pace... Sono lungi
dal penoso agone e dai sofferenti, e di nulla posso andar fiero, neppure delle
mie lacrime. Cosa può fare un figlio in esilio per la sua affamata gente, e
quale valore per loro può avere il lamento di un poeta assente?
S'io fossi una spiga di grano nella terra del mio paese, il fanciullo affamato
mi raccoglierebbe e allontanerebbe dalla sua anima, grazie ai miei chicchi, la
mano della Morte. S'io fossi un frutto maturo nei giardini del mio paese, la
donna affamata mi coglierebbe per sostentarsi. S'io fossi un uccello che vola
nel cielo del mio paese, il mio fratello affamato mi darebbe la caccia, così da
allontanare dal suo corpo, grazie alle mie carni, l'ombra del sepolcro. Ma ahimè,
non sono una spiga di grano cresciuta nelle pianure della Siria, né un frutto
maturo nelle valli del Libano; è questa la mia sciagura, questa la mia tacita
sventura, che porta umiliazione dinanzi all'anima mia e ai fantasmi della
notte... E questa la dolorosa tragedia che mi serra la lingua, mi lega le
braccia e mi paralizza, privandomi della forza, della volontà e dell'azione. E
questa la maledizione che arde sulla mia fronte, dinanzi a Dio e agli uomini.
E sovente mi dicono: "La rovina del tuo paese è nulla di fronte alle
sventure del mondo, e le lacrime e il sangue versati dalla tua gente sono niente
in confronto ai fiumi di sangue e di lacrime che si versano giorno e notte nelle
valli e nelle pianure della terra...".
Sì, ma la morte della mia gente è una tacita accusa; è un delitto concepito
dalle menti di invisibili serpenti... E una tragedia senza musiche e senza
scena... E se la mia gente fosse morta ribellandosi a despoti ed oppressori,
avrei detto: "Morire per la libertà è più nobile che vivere nell'ombra
del debole asservimento, perché colui che riceve la morte impugnando la spada
della Verità s'immortalerà a fianco della Verità Eterna, perché la Vita è
più debole della Morte e la Morte è più debole della Verità".
Se la mia nazione avesse partecipato alla guerra di tutte le nazioni e fosse
perita sul campo di battaglia, avrei detto che la furia della tempesta aveva
spezzato con la sua potenza i rami verdi; e la morte violenta sotto la volta
della tempesta è più nobile della lenta agonia tra le braccia della vecchiaia.
Ma nessuno è scampato al serrarsi delle fauci... La mia gente è caduta e ha
lacrimato cogli angeli piangenti.
Se un terremoto avesse distrutto il mio paese e la terra avesse inghiottito
dentro di sé la mia gente, avrei detto: "Una grande e misteriosa legge è
stata indotta dalla volontà di una divina forza, e sarebbe pura follia se noi
fragili mortali tentassimo di esplorarne i profondi segreti...". Ma la mia
gente non è morta da ribelle; non è stata uccisa sul campo di battaglia; né
il terremoto ha distrutto il mio paese e l'ha soggiogato.
La morte è stata la sua unica salvezza, e l'inedia l'unica sua preda.
La mia gente è morta sulla croce... E morta con le mani protese verso Oriente
ed Occidente, con gli occhi fissi all'oscurità del firmamento... E morta in
silenzio, perché l'umanità non aveva prestato orecchio alle sue grida. E morta
perché non ha trattato da amici i suoi nemici. E morta perché amava il suo
prossimo. E morta perché aveva fiducia in tutta l'umanità. E morta perchè non
ha oppresso gli oppressori. E morta perché era il fiore calpestato, non il
piede che calpesta.
E perita perché era portatrice di pace. E morta di fame in una terra ricca di
latte e di miele. E morta perché si sono levati i mostri dell'inferno, hanno
distrutto tutto ciò che i suoi campi producevano e hanno divorato le ultime
provviste nelle sue dispense...
E' morta perché le vipere ed i loro figli hanno sputato veleno nel luogo in cui
i Sacri Cedri, le rose e il gelsomino esalano il loro profumo.
La mia gente e la tua gente, fratello siriano, sono morte... Cosa si può fare
per coloro che stanno morendo? I nostri lamenti non appagheranno la loro fame, e
le nostre lacrime non estingueranno la -loro sete; cosa possiamo fare per trarli
in salvo dagli artigli d'acciaio della fame? Fratello mio, la bontà che ti
spinge a dare una parte della tua vita a qualsiasi uomo si trovi in pericolo di
perdere la propria è l'unica virtù che ti renda degno della luce del giorno e
della pace della notte... Ricorda, fratello mio, che la moneta che fai scivolare
nella mano avvizzita, protesa verso di te, è l'unica catena d'oro che unisce il
tuo ricco cuore al cuore amorevole di Dio.

ANGELI
Gli "Angeli" sono
esseri evoluti di pura luce. Vivono in uno stato dove non esistono più gioia,
dolore, sentimenti, emozioni ed identità, ma solo pace assoluta ed una
consapevolezza e conoscenza totale. Gli Angeli sono pura coscienza libera da
qualsiasi limite, pertanto essi non subiscono la limitazione della coscienza
umana.
Ogni uomo ne ha vicino uno o più di uno. Il loro compito è quello di seguire
l'evoluzione di un essere, come un tutore ha quello verso il proprio pupillo,
ecco perché vengono definiti "custodi". Non sempre un Angelo segue il
proprio pupillo dalla nascita fino alla morte. Secondo la propria evoluzione può
capitare di variare la propria guida angelica più di una volta nella vita.
Tutto dipende dal tipo di guida che un essere ha necessità in quel momento:
quindi differenti necessità corrispondono a differenti tipi di guide angeliche.
Gli Angeli non hanno sesso. Essi sono pura vibrazione asessuata. Solo quando vi
è un contatto diretto con il proprio pupillo un Angelo per convenzione si
presenta con un nome, e con caratteristica maschile o femminile. Questo per
facilitare la relazione con la mente umana dell'adepto, che chiaramente non
potrebbe accettare un essere asessuato o almeno ne farebbe molta fatica.
L'organizzazione angelica si basa sulla pacifica condivisione. L'uomo ha
concepito una classificazione angelica per assecondare una propria necessità.
Non è importante pertanto pregare un Angelo più conosciuto di un altro, quanto
invece arrivare a mettersi umilmente in contatto con il proprio.
La parola angelo deriva dal greco "ánghelos", che significa
messaggero, da qui il "channeling": tecnica usata per divulgare i
messaggi provenienti da queste entità di luce.
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