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VINCENZO
CARDARELLI
"A"Alle
origini della mia poco felice esistenza c'è un romanzo che non ho mai avuto
voglia di raccontare".
"Viviamo d'un fremito
d'aria, d'un filo di luce, dei più vaghi e fuggevoli moti del tempo, di albe
furtive, di amori nascenti, di sguardi inattesi. E per esprimere quel che
sentiamo c'è una parola sola: disperazione".

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- Vincenzo Cardarelli (che in realtà si
chiamavaNazzareno Caldarelli) ) nasce a Corneto Tarquinia il 1° maggio
1887. La madre si chiama Giovanna Caldarelli ma sui registri dello stato
civile non risulta nessuna menzione del padre, Antonio Romagnoli.
All'origine del cambio del nome v'è certamente una considerazione di ordine
estetico perché, per un giovane che desiderava diventare uno scrittore e
poeta famoso, doveva sicuramente suonare meglio il nome prescelto in un
secondo tempo. Ma dietro al mutamento onomastico si nasconde il dramma del
figlio illegittimo che ha lasciato profonde tracce nelle poesie malgrado
l'orgoglioso poeta abbia cercato di dissimularlo per quanto fosse possibile.
L'innata fierezza lo portava a non essere sincero con se stesso, a non
ammettere l'umile origine e la sua condizione di uomo costretto a scrivere
per sbarcare il lunario. Nelle conversazioni al caffè con gli amici parlava
delle sue origini con un tono fantasioso e leggendario quasi volesse
sfuggire alla realtà ben più misera e tutto ciò lo portò a costruirsi,
direi quasi ad inventarsi, una seconda infanzia, un suo mondo favoloso e
mitico. Lo stesso mutamento del nome è ispirato dalla volontà di
nascondere la verità, di mescolare la fantasia e la realtà: nel momento
della consacrazione e del successo a grande poeta pensava che tutto si
sarebbe dissolto come neve al sole.
- A Corneto Tarquinia, cittadina dall'aria
antica, a una decina di chilometri da Civitavecchia, la vita doveva
risultare alquanto difficile per il giovane Cardarelli: il nomignolo che gli
avevano affibbiato era «bronchetto del bisteccaro», termine che indicava
una persona che non aveva una posizione sociale solida e, come se non
bastasse, anche il termine di «bronchetto» perché aveva una mano
anchilosata. Come possiamo ben immaginare la realtà non era certo delle più
felici.
- Ma ancor più difficile era la
situazione del padre, Antonio Romagnoli. Un uomo sceso in Maremma a cercar
lavoro, senza una professione e senza una condizione regolare. Per anni ed
anni esercita tutti i mestieri: «carrettiere, vetturino, bettoliere nelle
macchie o presso i bagni penali ... sempre cambiando e desideroso di non
dipendere che da se stesso...»
- Dopo questo continuo girovagare, riesce
a fare il caffettiere e gestisce il buffet della stazione di Tarquinia. Un
padre tirannico e dispotico fino a cacciar di casa il figlio, un padre che
non riconosce mai nulla di buono nel figlio, un padre che non ispira amore
ma soggezione. Abbandonate le severe osservazioni che sembrano «dovute»,
Cardarelli si lancia in una evocazione che fa assurgere il padre quasi ad un
personaggio mitologico, inventa un elemento mitico, una figura tra il
Patriarca e l'avventuriero: «Sarebbe stato più prolifico di un Patriarca.
Ma la vita faticosa e randagia non gli permise di accostarsi alla donna se
non molto tardi, e conobbe il concubinaggio ed il matrimonio, male
incontrandosi coll'uno, e assaporando con parsimonia la breve incredibile
felicità dell'altro. Dopo di che, oppresso da una cupa tristezza, si chiuse
in una castità perfetta fino alla fine dei suoi giorni».
- La figura del padre viene ricordata con
la magia delle parole, con effetti degni di una evocazione mitica che porta
il poeta a dire: «Ma io non sono che una piccolissima parte indegna della
sua lunga, leggendaria esistenza». La vita del padre diventa una esistenza
che non si potrebbe raccontare che come una favola.
- La realtà era molto diversa e questa
aurea leggendaria derivava dalla volontà del poeta di plasmare una
riabilitazione e affermare una rivincita nei confronti del luogo natìo.
Cardarelli parlerà del suo paese sempre con una commistione di amore ed
odio, a volte prevale il dolore ma non manca certamente l'invettiva: «Un
paese di spettri / dove nulla è mutato fuor che i vivi / che usurpano il
posto dei morti. / Qui tutto è fermo, / incantato nel mio ricordo. / Anche
il vento».
- Ma non saranno l'invettiva e nemmeno
l'elegia gli strumenti per descrivere il mondo dell'infanzia: un micrososmo
che sarà rievocato in modo favoloso attraverso i personaggi, le vicende, i
luoghi sempre permeati da una patina mitica e da una visione fantastica.
Grazie a questa conversione a «favola cardarelliana» il paese natìo
diventa il simbolo del paradiso perduto. Il poeta infatti è
fondamentalmente attratto ed interessato molto più dalle sensazioni e dalle
immagini piuttosto che dai fatti reali, dalle vicende umane delle persone in
quanto tali: ecco allora che la favola è la forma più adatta per rivivere
come in un sogno la sua infanzia ed il paese che lo ha visto nascere.
- La favola come il sogno regala alle cose
un alone meraviglioso e miracoloso e le vicende di quel mondo acquistano un
valore che tende ad affascinare il lettore.
- Il paese che Cardarelli osserva è
Corneto Tarquinia sul quale aleggia una «tristezza inevitabile», «un
paese di Maremma, antico e dal suolo cavernoso e sconquassato, dove tre
civiltà giacciono l'una sopra l'altra». E nella favola cardarelliana sarà
proprio la civiltà etrusca, misteriosa e mitica, ad affascinare il poeta:
«L'Etruria primigenia si compone in un irresistibile slancio verso il
monte. Navigano le greggi sulla pianura ventosa, che si avvia rapidamente a
diventare altipiano, pilota l'aratore, ondeggiano le messi e le groppe
schiumose dei cavalli balzani».
- La realtà serve soprattutto da sostegno
alla metafora, all'immagine. La memoria per Cardarelli è un fatto poetico,
una «memoria poetica non romanzesca».
- Salvare del passato solo quello che ha o
sembra possedere un valore poetico: nella sua memoria di adolescente, piena
di turbamenti e fantasticherie, si sono depositati una quantità di fatti
straordinari che non si sono mai avverati.
- È vero comunque che lontano da
Tarquinia Cardarelli si è sempre sentito un uomo senza radici. Appena
ritorna al suo paese, l'oasi felice con la sua visione idilliaca scompaiono
e la realtà appare molto diversa dal sogno: il passato, il peso dei
ricordi, gli inganni della memoria, le antiche ossessioni, le ombre
dell'infanzia. Ogni volta rimane deluso, sanguinante, corroso dal passato e
consapevole che solo alla sua morte potrà liberarsi della memoria e
riposare in pace in quella terra. E' questo il dramma umano di Cardarelli
che appena tocca il suolo di Tarquinia vorrebbe già ripartire a causa di un
«rigurgito di impressioni e di memorie buone e cattive, liete e tristi e
l'amara constatazione che le ragazze del paese presso le quali non ebbe mai
grazia nessuna si domandano: Chi è quell'antipaticone?»
- Anche la madre di Cardarelli è una
donna di umile condizione che si muove per campi a raccogliere la cicoria ed
altre verdure per venderle al mercato. Segue la mietitura prestando
manodopera e svolgendo i più diversi servizi. Quando Cardarelli è ancora
piccolo il padre interrompe la convivenza con Giovanna Caldarelli, cacciata
di casa e costretta ad andare raminga per il mondo, e sposa un'altra donna
che morirà tragicamente solo pochi anni dopo. Negli scritti del poeta
ritroviamo spesso il tema della madre assente ed alcuni riferimenti al
dramma familiare. Ne è un esempio significativo la lirica Ballata: «Qui
antiche donne vivono, mai sazie / di ricordare./ E narrano una storia /
ch'io so a memoria e non vorrei sapere./ Narrano la mia storia famigliare./
Dicono che una notte,/ col cuore fasciato / di crudeltà e d'ira fredda, /
un uomo fece guasto / senza pietà nei suoi affetti più sacri, / disperse
una famiglia appena in fiore./... Lamentose quale un funebre canto, / alla
pietà l'invettiva alternando, / mi rammentano come, ancora in fasce, /
m'abbia poco la sorte vezzeggiato».
- Nonostante tutto il poeta non ha mai
condannato né giudicato la madre ma ha sempre guardato a lei con dolorosa
nostalgia. Nella lirica giovanile Solo... , con uno stile ancora acerbo,
parla della pena di un uomo al quale il destino ha negato l'amore materno:
«C'è stato forse un viatico d'amore / materno per il mio lungo viaggio? /
L'amor, la fede, la forza, il coraggio: / tutto è fiorito sopra il mio
dolore. / Ero già solo, ed ero un bimbo buono / che sognava le fate...»
- Sono versi incerti che denotano però
una sofferenza umana, un travaglio ancor più evidente nella poesia Sopra
una tomba nella quale regna il rimorso per aver trascurata la madre quando
era ancora in vita. L'insistito e sentito ricordo appare come una
consolazione ed un riscatto offerto alla madre da parte del poeta che dedica
a lei una delle sue poesie più belle ed umane. Anche la figura della
matrigna è ricordata con simpatia e tenerezza: una donna «tutta d'oro dal
cuore alle mani, piena di giudizio e dignitosa, sempre avvolta in vestiti
color verde». Dopo pochi anni la matrigna muore e Cardarelli nel ricordare
la tragedia si esprime con forte commozione ed una profonda sincerità che
fanno breccia nel cuore di un uomo che faceva aperta professione di cinismo.
- Non ancora ventenne arriva a Roma dove
per vivere deve fare i mestieri più diversi: addetto alle sveglie in un
deposito di orologi, amanuense nello studio di un avvocato, impiegato nella
segreteria della Federazione metallurgica, contabile in una cooperativa di
marmorari ed infine, dopo un periodo di disoccupazione e miseria, si trova a
fare il giornalista. Intorno al 1910, oltre a tenere varie rubriche nel
giornale l' Avanti, comincia a pubblicare nel Marzocco ed in altri
periodici. Nel 1916 pubblica il volumetto dei Prologhi, l'opera d'esordio
che esprime già in modo preciso e sicuro la personalità di Cardarelli. Nel
1919 fonda la rivista Ronda con alcuni amici: Baldini, Bacchelli, Saffi,
Montano, Barilli, Cecchi, Spadini. La rivista dura solo pochi anni ma
Cardarelli si impegna sia come scrittore che come animatore e offre una
espressione decisa e viva delle proprie idee critiche. Della rivista e della
sua funzione di «richiamo all'ordine» ed alle più nobili tradizioni
letterarie parleremo in un successivo articolo dedicandovi lo spazio che
merita.
- Nel 1920 con Viaggi nel tempo le
immagini e gli spunti didascalici testimoniano l'atteggiamento di vita e
d'arte ma sotto un'incidenza più autobiografica con i segni di una tensione
talvolta disperata. Si passa dalla sfera della volontà a quella della
fantasia, da una atmosfera desolata ad una atmosfera tutta familiare. Con
Favole e memorie (1925) Cardarelli sembra portare al punto conclusivo lo
svolgimento iniziato con le meditazioni liriche dei Prologhi e proseguito
negli apologhi dei Viaggi nel tempo. È un tentativo in una forma, in un
certo senso, più popolare, di una storia della Creazione e del Diluvio
mentre nella seconda parte del libro affronta i motivi autobiografici che
saranno sempre più frequenti nella maturità.
- Nel 1929 con Il sole a picco: le «etrusche
cavalcate passano a galoppo fra le tamerici», e il tema del ritorno alla
terra, il desiderio di andare a dormire una notte coi morti, di chiudersi
fra le memorie, sono temi già annunciati con una nuova intimità che
diventerà toccante, direi quasi straziante, in quelle Lettere non spedite
del 1946.
- Dei molteplici aspetti del Cardarelli,
Villa Tarantola (1948) documenta gli aspetti più confidenziali, i ricordi
della formazione di un autodidatta, i primi passi della carriera, figure e
memorie della gioventù, sentimenti e incontri che appaiono decisivi nella
storia di un uomo. Le esperienze di gioventù hanno un risvolto quasi
favoloso e vengono consegnate come pegni della sua sorte dopo averle portate
e guardate dentro di sé per tanti anni.
- Vincenzo Cardarelli muore il 18 giugno
del 1959 nell'Ospedale del Policlinico di Roma. Riposa nel cimitero di
Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca secondo la volontà espressa nel
proprio testamento. La Civita etrusca, frequentemente evocata nelle sue
poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi il valore di un simbolo morale
e non di un tema autobiografico perché era stata il faro che lo aveva
guidato durante il suo avventuroso periplo tra le difficoltà della vita.
Cardarelli è un uomo che ha vissuto e nella solitudine ed è morto ancor più
solo. Gli unici riconoscimenti che ha raccolto sono stati il premio
letterario Bagutta nel 1929 con il libro Il sole a picco e nel 1948 il
premio Strega per la prosa Villa Tarantola. In entrambi i casi però si è
trattato di un successo di stima e sicuramente non di un'affermazione
pubblica.
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- Lo stile come necessità assoluta
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- Vincenzo Cardarelli è l'autore di una
sola opera: il suo stile. Infatti nell'opera di Cardarelli non è possibile
isolare uno scritto conferendogli un valore rappresentativo e non è neppure
possibile definirlo un poeta o un prosatore senza frantumare l'unità
interna che cementa tutta la sua produzione letteraria. Tale unità è il
suo stile. D'altra parte è anche vero che non vi può essere creazione
letteraria senza uno stile e che lo stile non deve essere confuso con il
concetto retorico dello «scrivere bene» e della «bella forma». Si
potrebbe dire la stessa cosa per ogni scrittore autentico e ancor più per
Cardarelli perché il suo stile diventa la sostanza stessa della sua opera.
Tutto ciò appare ancor più evidente per il fatto che non lo possiamo
catalogare in nessuna delle categorie letterarie tradizionali: poeta,
prosatore, narratore, moralista, e via dicendo.
- Cardarelli riesce a sottrarsi ad ogni
definizione proprio perché ha cercato volutamente di non essere né l'uno né
gli altri, per non rinunciare a fare dello «stile una necessità assoluta».
Lo stile, per Vincenzo Cardarelli, è «qualche cosa di obbligatorio, si
presenta come un'imposizione» e lo scrittore non può far altro che
affidarsi allo stile perché «è un fatto naturale ed ereditario come il
carattere. Non è possibile modificarlo e neppure sfuggirgli. Esso ci dà la
misura di quello che siamo, delle nostre qualità, dei nostri limiti e dei
nostri difetti. Lo stile è una dote rarissima e che ha valore per se
stessa. Giacché lo stile è sinonimo di personalità, non di altro».
- In Cardarelli lo stile diventa uno
strumento per realizzare la conoscenza e la conquista del mondo reale ed è
come una presa di possesso di se stesso e della sua personalità: non un
vago esercizio ma un punto di partenza e, nello stesso tempo, d'arrivo.
- Come autodidatta vaga per tutti i campi
della cultura, cercando di apprendere il maggior numero possibile di cose,
di colmare i vuoti interiori, di allargare all'infinito l'orizzonte
intellettuale.
- Si sente simile ad un gabbiano,
sballottato da un luogo all'altro, preso nel vortice di un perpetuo volo e
questa sensazione di eterna mobilità, questo continuo vagabondare è
sentito profondamente dal poeta che non riesce a capire dove poter trovare
pace in un mondo che non gli prospetta mai nulla di certo.
- Questo suo errabondare, senza mèta e
senza fine, a volte regala un senso di ebbrezza ma in fondo fa invidiare
coloro che trovano, in un determinato luogo, la pace, la quiete. Alla fine
di questo tumultuoso viaggio, Cardarelli riscopre Tarquinia, ritrova se
stesso, il suo equilibrio come uomo e come scrittore. Dopo le turbolenze dei
distacchi e delle rotture, si rasserena e si ripiega su se stesso, rivive la
memoria del passato, i ricordi e le sensazioni dell'infanzia: i ricordi sono
«fantasmi agitati da un vento funebre» e trasformano la vita in un «cimitero
di memorie». Il poeta con il suo ritorno a Tarquinia sceglie la strada più
ardua e più dolorosa ma il suo traguardo è la conquista di uno stile tutto
suo, personale, autentico.
- Una scelta moralmente doverosa e
stilisticamente necessaria. Ecco allora che la sua pena di uomo si placherà
nel momento in cui riuscirà ad essere più personale ed autentico come
scrittore.
- A tale riguardo è ovvio che lo stile
assoluto è un sogno, una chimera e nessuno scrittore riesce a sottrarsi
completamente alle influenze di un movimento letterario o di altri autori.
Anche Cardarelli non sfugge a tale destino anche se cercherà con tutte le
sue forze di avvicinarsi il più possibile a tale mèta.
- Non è un caso che alla sua morte segue
un periodo di dimenticanza durato alcuni anni ma possiamo affermare con
sicurezza che Cardarelli, pur con tutti i suoi limiti, ha segnato la
letteratura italiana nella prima metà del secolo costituendo un punto
d'incontro tra la tradizione e l'ordine letterario, lo spirito di novità e
di ricerca. Con la sua opera ha conservato le radici del fertile terreno
della cultura nazionale pur dimostrandosi moderno e nuovo, riuscendo a
raggiungere un punto d'equilibrio per ricercare il quale ha subordinato ogni
altra ambizione ed ogni ricerca di un successo facile quanto effimero.
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Gabbiani
Non so dove i
gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

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